domenica 9 gennaio 2011

De gustibus est mutandum

Uno dei miti più inossidabili, sebbene, paradossalmente, sia tra i più facili da demolire, è l'invarianza sostanziale del nostro "io".
Se c'è una cosa di cui nessuno, apparentemente, dubita, è che "dentro la sua testa" ci sia comunque "qualcuno", e che quel "qualcuno" sia la fonte della vocina interiore che sentiamo quando pensiamo "con noi stessi". Eppure, quel "io" non è più reale della voce monotona che emerge allo stadio quando migliaia di tifosi intonano lo stesso inno. Così come non esiste la "persona" che grida quel coro (risultato strutturale della cacofonia simultanea di migliaia di singole voci dentro un grande spazio semi-chiuso) e così come essa non è localizzabile in un soggetto (la "voce" è dentro lo stadio, ma esattamente dove non ha senso chiederselo), così "io" sta dentro al cranio, ma non è chiaro dove esattamente e a quale ente fisico reale sia attribuibile.
Ovviamente, gli idioti spiegano tutto con la favola dell'anima immateriale, ovvero, con un'aria fritta che nonostante sia ancora meno reale dell'io, vince esteticamente agli occhi ingenui.
Ma non è di anima e altre bufale mitologiche che parlo qui. Il senso del post è relativo all'inesistenza di una cosa chiamata "io". Sia chiaro, il corpo materiale, il cervello e le sue strutture fini esistono, conformemente  al loro essere sistemi complessi materiali termodinamicamente aperti. Quello che non esiste è l'omino fumoso che, convenzionalmente (o per semplice consuetudine) è considerato la causa efficiente della parola "io", la causa reale di ciò che ognuno "si sente dentro".
Il nostro io, al pari di qualsiasi altra metafora inventata per ridurre in una parola sola miliardi di anni di un continuum di eventi fisico-chimico-biologico-sociale-psicologico-individuali, è un simbolo codificato all'interno del sistema cerebrale di rappresentazione della realtà. Come tutti i simboli, esso è arbitrario, grossolano, limitativo ma straordinariamente efficace nel suo ruolo di tassello del mosaico neurale predisposto all'esistenza dell'organismo umano. Senza "io" non esiste interazione funzionale nell'esistenza di Homo sapiens. Ciò, sopratutto, perché l'oggetto che più spesso l'individuo incontra in quell'esistenza (e la causa del 90% delle sue gioie e dolori) è un altro oggetto dotato di sistema neurale che, a sua volta, tende a processare i  propri comportamenti usando un simbolo detto "io" (che, si spera, è diverso dal "io" vostro). In pratica, siamo macchine che usano il simbolo "io" per meglio interagire con altre macchine che usano il simbolo "io" per meglio interagire. Un bel groviglio di simbolismi...
Eppure, nonostante la sua importanza, l'io non è che un contenitore per entità fluide, instabili e in divenire: al pari di ogni contenitore, non può essere confuso con il contenuto. E quel contenuto, come mostra l'esperienza e la memoria, non è mai identico a sé stesso, non è mai fisso e definito.
Quando ero piccolo ero una creatura molto schizzinosa. Mangiare un minestrone era un'impresa al limite della tortura. Ortaggi come broccoli e carciofi erano quanto di più repellente ci fosse sul tavolo. Oggi, adoro il minestrone. Lo divoro a badilate, e non lascio nulla indietro. Amo i broccoli, che sono squisiti anche per l'occhio, nella loro geometria frattale. Il carciofo è l'immancabile contorno di qualsiasi pizza. L'io bambino e l'io attuale, che pure riteniamo "lo stesso io", sono opposti (almeno in questi dettagli della sua struttura).
Possono sembrare aneddoti banali, ma sono esempi di un campionario sconfinato, che ognuno di noi può pescare dalla propria memoria. Se descrivessimo nel dettaglio le caratteristiche del "nostro io", vedremmo che ogni giorno esso è diverso dagli altri giorni. Non è mai uguale, quindi, non è sempre lui.
Dato che il detto "dimmi cosa mangi (e bevi, e leggi, e scrivi, e tifi, e apprezzi...) e ti dirò chi sei" è una profonda verità (perché noi siamo i nostri gusti), la non permanenza dei nostri gusti implica la non permanenza del nostro io. Esso diviene, e quindi, non è definibile. Ma se non è definibile, esso non può essere quella "entità indissolubile" che, ad un'occhio ingenuo, dovrebbe caratterizzarci sempre e continuamente.

1 commento:

  1. Mi fa piacere ritornare (finalmente) a commentare qualcosa su questo blog rinfrescante, e mi fa ancora più piacere farlo nel confessare che mi diletto spesso a immaginare che aspetto avrebbe una società libera dalle pareti di "io"; come sarebbe riorganizzata la scuola, e le sue valutazioni? E se gli stipendi non rappresentano un problema, dato che lo stomaco è sempre e comunque uno, e così il tetto che offre un riparo all'intera macchina, come ci comporteremmo nei confronti di ciò che più verrebbe messo in discussione, e cioè, l'origine delle azioni? Che significato avrebbe per dei coniugi l'infedeltà, per la giustizia un reato?

    RispondiElimina

-I COMMENTI ANONIMI SARANNO ELIMINATI