venerdì 29 agosto 2008

Paleontologi e paleontofili

Come ogni attività umana che genera piacere, la paleontologia è popolata da una componente attiva e da una passiva. La prima, i paleontologi, è la minoranza che fa andare avanti la baracca. Il paleontologo scopre, prepara, determina e studia i reperti, inoltre, formula teorie argomentate, ed è in grado di valutare consapevolmente le teorie altrui. Il paleontologo, essendo parte attiva in tutte le fasi del processo di elaborazione di questa scienza, è pienamente consapevole che:

1- Gli organismi della paleontologia sono una teoria interpretativa, non un’evidenza come può esserlo un essere vivente attuale. Pertanto, le varie ipotesi scientifiche che vengono proposte sono approssimazioni parziali ed in continua fase di revisione e sempre in evoluzione.

2- Le interpretazioni ed i risultati sono subordinati ad i dati ed al metodo di studio. Pertanto, un paleontologo non si accontenta dei risultati, ma pretende una descrizione dettagliata dell’intero processo di elaborazione della nozione paleontologica (quali dati sono stati usati? quale metodo è stato applicato? quali alternative sono possibili con gli stessi dati ma con metodi differenti?).

3- La paleontologia non è la biologia. Questa banalissima frase, proprio per la sua banalità, spesso viene dimenticata dai paleontofili, che invece sembrano ostinati a trattare i fossili come organismi viventi osservabili direttamente (si comportano come quelle persone che vanno al cimitero per parlare con la lapide del loro caro estinto, incapaci di accettare il fatto che la persona amata non esista più: un comportamento umanamente rispettabile, ma non certo valido scientificamente).

La seconda componente, numericamente maggioritaria, è formata dagli appassionati paleontofili. Essi, al pari degli appassionati di uno sport, non sono parte integrante delle fasi di preparazione della disciplina, bensì, generalmente, sono fruitori passivi solamente dei risultati. In genere, essi non hanno acquisito la competenza tecnica e concettuale tale da permettere loro di valutare tali risultati, che tendono ad essere semplicemente acquisiti più o meno acriticamente (sia nel caso che vengano accettati sia che vengano rifiutati). Il paleontofilo, pertanto, spesso:

1- Dimentica che i risultati paleontologici non sono verità, bensì ipotesi parziali costantemente in fase di revisione. Egli soffre per l’impossibilità di VERIFICARE* le ipotesi: frastornato dal fecondo proliferare delle differenti ipotesi interpretative (non comprende che tale proliferazione di ipotesi è linfa vitale per la paleontologia, impedendole di diventare una “religione dogmatica dei fossili”) tende a fissarsi su una delle possibili ipotesi proposte, per crearsi una sua “versione ufficiale”. Questo meccanismo psicologico generalmente si ripercuote sulla sua futura flessibilità di fronte alle nuove scoperte o al cambio di paradigma. Paradossalmente, questa categoria di appassionato tende ad essere, erroneamente, conservatrice e dogmatica nei confronti della scienza naturale.

2- Inoltre, il paleontofilo è più interessato ai risultati che al modo con il quale sono stati ricavati. Conseguenza nefasta di ciò è che egli in genere discute solamente delle differenti ipotesi, non dei dati o delle metodologie seguite. Ne risulta un dibattito tra appassionati fatto più di opinioni che di argomenti, che scorre parallelamente al dibattito tra paleontologi (dal quale attende sempre nuovi risultati o scoperte), ma che spesso si limita a divulgare parte dei risultati dei ricercatori, senza riuscire a produrre una reale crescita della conoscenza.

Aspetto curioso dell’analogia sport-paleontologia è la similitudine tra i dibattiti dei tifosi e i dibattiti dei paleontofili: provate a confrontarli (la rete è ricca di entrambi), troverete delle curiose analogie nel modo di esporre le idee, di argomentare (o meno) i temi, e di commentare la componente “attiva” (gli sportivi in un caso, i paleontologi nell’altro).

Con questo post non vorrei che qualche paleontofilo si risentisse per le parole che ho usato per la sua categoria.

Ammetto che spesso, quando leggo in rete le discussioni tra appassionati, provo un mix di biasimo e di simpatia per le loro parole. Sono consapevole che molto spesso un appassionato è una persona intelligente e vivamente interessata alla paleontologia ma che (per innumerevoli motivi personali) non ha acquisito le conoscenze necessarie per “salire di livello” e diventare paleontologo, “restando” fruitore passivo della scienza dei fossili, pertanto non ho verso di lui alcun sentimento di disprezzo o di superiorità. Tuttavia, spesso ho l’impressione che, dal loro “fronte”, quello paleontolofilo, non ci sia l’adeguata consapevolezza di cosa significhi fare “davvero” paleontologia (e questo è terribilmente diffuso tra gli appassionati di dinosauri, fossili che, per il loro indubbio fascino, attirano un esercito più o meno maturo di persone più o meno preparate, tutte desiderose di dire “la loro” in una disciplina scientifica che spesso nemmeno conoscono).

Raramente chi si limita a leggere i risultati delle ricerche (e nemmeno dagli articoli scientifici originari, bensì da riviste divulgative più o meno rigorose o da siti più o meno validi in rete) ha idea di quanto impegno di tempo ed energie sia all’origine della nozione che sta acquisendo.

Oltre ai decenni necessari per una decente preparazione scientifica (io studio con profondo impegno i teropodi da almeno otto-dieci anni e non mi reputo mai sufficientemente preparato, ed anzi, mi sforzo costantemente per essere aggiornato su tutti i fronti della teropodologia), un risultato scientifico richiede mesi di osservazione e valutazione dei dati, lunghe discussioni e controlli, una lunga fase di stesura del lavoro, una fase di revisione (operata da altri colleghi, tramite il processo di peer-review), e solo alla fine, la presentazione del lavoro.

Temo che spesso questo aspetto non venga considerato dagli appassionati, i quali, fissandosi solo sui risultati, li accettano (o rifiutano) con leggerezza e senza approfondimento, dimenticando che chi ha pubblicato tali ipotesi ha svolto un lungo lavoro a monte della pubblicazione, molto più importante dei soli risultati che ha generato.

*Una versione apparentemente avanzata di tale impostazione mentale è la richiesta di FALSIFICARE le ipotesi paleontologiche. Tuttavia, questo richiamo a Popper è doppiamente scorretto: primo, le ipotesi scientifiche non devono essere falsificate per essere tali, bensì sono riconosciute scientifiche se sono costruite in modo da possedere una potenziale falsificabilità. Secondo, il criterio popperiano, per quanto accettabilissimo in scienze a-storiche come la chimica o la fisica, non ha molto senso in una disciplina storica come la paleontologia. Il Mesozoico (o l’estinzione dei dinosauri, o l’origine dell’uomo) non è un’ipotesi falsificabile “alla Popper”, bensì è una interpretazione storica di dati biologici e/o geologici non ripetibili.

giovedì 28 agosto 2008

La Genesi vista ultrazionalmente

La storia narrata all’inizio del primo libro della Bibbia è arcinota.

Riassumendo brevemente gli eventi narrati:

In Principio, l’Unico Dio crea il Mondo.

Dio crea l’uomo e la donna, e li pone in un Giardino di Delizie nel quale possono fare tutto ciò che vogliono, tranne mangiare dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.

Il serpente seduce la donna, dicendole che Dio proibisce di mangiare dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male per timore che, così facendo, l’uomo possa diventare come Lui.

L’uomo, indotto dalla donna, mangia dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. I loro occhi si aprono: essi scoprono di essere nudi e perciò ne hanno vergogna.

Dio punisce l’uomo e la donna, scacciandoli dal Giardino di Delizie. Dal quel momento in poi, la vita dell’uomo sarà di fatica, sofferenza e morte.

Questa storia può essere valutata in due modi reciprocamente esclusivi.

Primo: essa è letteralmente vera.

Secondo: essa non è letteralmente vera.

Nel primo caso, sostenuto dai fondamentalisti cristiani (creazionisti), essa va presa come una fedele descrizione di eventi passati.

Nel secondo caso, essa è una favola metaforica, costruita per trasmettere un messaggio: ovvero, ha un significato da interpretare. Inutile dire che io accetto la seconda valutazione.

Spero che la stragrande maggioranza di coloro che hanno sentito questa storia la pensi come me. A loro va il seguito di questo post.

Come interpretare la storia narrata sopra? Se, ripeto, questa storia ha un significato celato dietro gli eventi narrati, come determinarlo?

Partiamo da ciò che è scritto.

L’assioma di partenza è che il Mondo ha un Creatore. Questi, per come è impostata la storia, è esterno e distinto dal Mondo che crea. La sua esistenza pertanto può essere conosciuta solo tramite una Rivelazione, un processo che dal Creatore va alla Creatura. Questo assioma, pertanto, non è conoscibile tramite un’indagine (cioè un processo che dalla Creatura va al Creatore) ma solamente accettato per fede.

Come è giunta a noi questa Rivelazione? Tramite un testo sacro, tramandato ed interpretato da individui particolari detentori del ruolo di intermediari tra il Creatore e l’uomo, chiamati sacerdoti. Pertanto, per tutti coloro che non sono sacerdoti la credenza nella verità dell’assioma, ed in particolare nell’esistenza di Dio, si riconduce alla credenza nelle parole dei sacerdoti.

A questo punto, sono possibili due valutazioni reciprocamente esclusive delle parole dei sacerdoti:

Primo: i sacerdoti dicono la verità sull’esistenza di Dio.

Secondo: i sacerdoti non dicono la verità sull’esistenza di Dio.

Nel primo caso siete dei credenti, nel secondo caso dei non credenti. Inutile dire che io accetto la seconda valutazione.

Se anche voi siete di questa idea, e non ritenete letteralmente vera la storia della Genesi, bensì la ritenete un’opera di propaganda sacerdotale, come interpretate il loro testo? L’ipotesi più plausibile in questo caso è che Dio sia una rappresentazione simbolica del potere sacerdotale. Ovvero, Dio è niente altro che una rappresentazione idealizzata del sacerdote. In effetti, il Dio biblico è palesemente costruito ad immagine e somiglianza del sacerdote: è maschile, paternalista, misogino ed ossessionato dalle proibizioni, dai divieti e dal rispetto di formalismi rituali e meccanici finalizzati all’esaltazione del suo potere (sacrifici, offerte e preghiere).

Sostituiamo “Dio” con “Sacerdote” e, di conseguenza, riscriviamo la storia narrata sopra adattando le metafore alla realtà:

In principio, l’Unica Casta Sacerdotale governa la Società.

Il Sacerdote addomestica gli uomini, inculcando in loro una Superstizione Consolatoria nella quale è esaltato tutto ciò che li illude (gloria ed immortalità per i deboli, punizione finale dei torti ricevuti, fine del dolore e della fatica intrinseche nell’esistenza reale), al fine di mantenerli mansueti verso il Sacerdote: per far ciò, egli rende la Conoscenza della Realtà un tabù proibito.

Il pensiero critico, con le sue conquiste, seduce l’umanità, dicendole che il Sacerdote proibisce di cercare la Conoscenza della Realtà per timore che così facendo, l’uomo possa liberarsi da Lui.

L’uomo trasgredisce al tabù e ricerca la Conoscenza della Realtà. Le menti umane si aprono: esse scoprono di essere state ingannate e sottomesse dalla Superstizione.

Gli uomini illuminati scacciano il Sacerdote, ed abbandonano la Superstizione Consolatoria. Da quel momento in poi, il cammino verso la Conoscenza sarà faticoso e sofferto, ma perlomeno non-Illusorio.

Ora tutto appare più chiaro (ed in questo sta il senso della frase “i loro occhi si aprirono”).

Ho sempre trovato terribile la scena del Peccato Originale, nella quale appare evidente come il Dio biblico crei un uomo stupido ed ignorante, lo collochi volutamente dentro un giardino (recinto? gabbia?) dove (forse) è felice e appagato (come un animale all’ingrasso) ma al prezzo di essere ignorante e schiavo, ma poi lo punisca per l’eternità, solamente perché ha osato aprire gli occhi che Egli stesso gli aveva tenuto chiusi.

I sacerdoti (i creatori di quella storia) pertanto hanno manifestato nella storia della Genesi il loro programma di dominio sull’uomo non-sacerdote tramite la perpetuazione della superstizione e dell’ignoranza. Evidentemente, contavano così tanto sulla riuscita del loro programma (al quale evidentemente davano/danno un valore positivo e salvifico sulla massa “semplice ed ignorante”, oltre che di potere per loro) da non pensare che fosse necessaria una maggiore censura delle loro intenzioni. Sicuri che l’umanità si sarebbe sempre più addomesticata nel loro fittizio Eden di Miti, Favole e Lusinghe Oltremondane, non ritennero plausibile che un giorno qualcuno (e siamo sempre di più) avrebbe aperto gli occhi ed alzato la testa quanto basta per ribellarsi alla schiavitù del Giardino della Superstizione, rileggere quel testo e scovarne il reale significato.

mercoledì 27 agosto 2008

Se non ridete, chiamate Alan Turing

Giovanni era così grasso che l'ambulanza, per portarlo all'ospedale, dovette fare due viaggi.

Giovanni era così grasso che il suo compleanno cadeva il 12, 13 e 14 del mese.

Giovanni era così grasso che per indossare la sciarpa usava il boomerang.

Xenofobia, aggressività ed il successo dei ceratopsidi

Posizione filetica dei ceratopsi tra i dinosauri neornitischi, tratto da www.geol.umd.edu
Questo post è tratto da una mia lettera al Sarmatese Maganucoide datata alcuni anni fa, la cui riesumazione è stata indotta da una discussione avuta ieri con Lukas Panzarin.
I ceratopsi, o "dinosauri cornuti", sono uno dei gruppi più spettacolari di dinosauri ornitischi. In particolare, le forme più grandi e derivate, i ceratopsIDI, mostrano una grande gamma di elaborate ornamentazioni del cranio, sotto forma di corna e creste. Al contrario, il resto del corpo è piuttosto omogeneo. Il tema principale di questo post nasce dal grafico qui sotto, il quale mostra che la diversità (il numero di specie) di ceratopsIDI segue un trend più rapido rispetto a quello degli altri ceratopsi: ovvero, a parità di intervallo di tempo, le nuove specie di ceratopsIDI compaiono con una frequenza maggiore rispetto agli altri ceratopsi. Quello che tenterò di fare in questo post è di elaborare una teoria sintetica che colleghi la morfologia, la macroevoluzione ed alcuni tratti del probabile comportamento dei ceratopsidi in un unico processo. A voi l'onere di valutarne la validità.
FATTORI MICRO- E MACROEVOLUTIVI NELL’EVOLUZIONE DEI CERATOPSIDI


Il grafico qui sopra è tratto da “P. J. Makovicky -Taxonomic Revision and Phylogenentic Relationships of Basal Neoceratopsia (Dinosauria: Ornithischia)” .

Dal grafico risulta che la radiazione adattativa dei ceratopsidi fu più ampia e rapida rispetto al trend evolutivo dei restanti neoceratopsi, ovvero che il tasso medio di speciazione dei ceratopsidi sia maggiore di quello dell’insieme parafiletico dei non ceratopsidi.

Apparentemente questo dato può sembrare il risultato di un’indagine esclusivamente biostratigrafia; tuttavia ho elaborato una teoria micro- e macro-evolutiva dei ceratopsi che ha come conclusione finale proprio questo grafico, che viene ricavata esclusivamente su dati zoologici.

Premessa: per ceratopsidi intendo i membri del clade Zuniceratops + Ceratopsidae

Dati:

1) I ceratopsidi sono distinguibili dai restanti neoceratopsi (che per brevità chiamo “i basali”) per alcune caratteristiche, che semplificando al massimo sono: A) taglia maggiore e tendenza al gigantismo, B) ornamentazione cranica molto accentuata, formata soprattutto da corna.

2) Le specie di ceratopsidi non variano molto postcranialmente.

3) Le forme giovanili dei ceratopsidi sono difficilmente distinguibili a livello di genere o specie.

Ho integrato i dati di sopra in un modello evolutivo a più stadi, alcuni microevolutivi (dinamiche interne alle singole specie) e altri macroevolutivi (dinamiche evolutive tra specie distinte).

STADIO 1

Sulla base delle conoscenze sulla filogenesi dei ceratopsi, l’antenato comune dei ceratopsoidei può essere immaginato come un neoceratopso caratterizzato da corna sopraorbitali più lunghe del diametro dell’orbita. L’antenato comune dei ceratopsidi aggiunse alle corna sopraorbitali un ampio corno nasale. Dato che la presenza di protuberanze ossee sopraorbitali e nasali caratterizza anche altri neoceratopsi, l’espansione delle corna nei ceratopsidi deve rispecchiare un cambiamento in un carattere funzionalmente correlato alla presenza di corna.

Dato che non sembrano esserci prove di dimorfismo legato alle corna, si può vedere lo sviluppo delle corna come un fattore non legato alle dinamiche infrapopolazionistiche o intrasessuali (competizione tra maschi e/o poligamia con difesa degli harem).

Io pertanto assumo lo sviluppo delle corna come "ipotesi 0" (ipotesi zero) per la successiva evoluzione dei ceratopsi senza indagarne, per ora, le cause.

L’ipotesi 0 implica una differenziazione comportamentale tra i ceratopsidi e i basali: la presenza di corna sviluppate implica che i ceratopsidi erano probabilmente più bellicosi ed aggressivi dei basali (ipotesi 0b).

Potremmo ipotizzare che l’ipotesi 0 sia un’effetto selezionato dalla mutazione comportamentale che ha generato l’ipotesi 0b, ma non potendo verificare direttamente le differenze comportamentali tra ceratopsi e basali, prendiamo le ipotesi 0 e 0b come aspetti dello stesso fenomeno, che chiameremo “bellicosità” )morfologica + comportamentale).

STADIO 2

La presenza della maggiore bellicosità dei ceratopsidi rispetto ai basali deve implicare necessariamente un’altra modifica comportamentale.

Se la specie ancestrale di ceratopside avesse sviluppato esclusivamente la bellicosità )n senso lato, ovvero contro qualsiasi altro animale), la probabilità per questa specie di estinguersi sarebbe più alta rispetto a quella delle specie di basali ad essa prossima: a parità di tutti gli altri fattori che influenzano la sopravvivenza di una popolazione, la specie di ceratopsidi sarebbe più svantaggiata delle altre perché ogni individuo di questa specie sarebbe minacciato anche dai bellicosi conspecifici (cioè gli individui della stessa specie) oltre che da membri di specie diverse: questo non accadrebbe agli altri neoceratopsi, i quali, in base all’ipotesi 0, hanno minore -se non nulla- la probabilità di restare feriti o uccisi da conspecifici.

Pertanto all’interno della specie ancestrale dei ceratopsidi ci sarebbe necessariamente un’intensa selezione tra le sue popolazioni, che avvantaggerebbe quelle capaci di smorzare o annullare al loro interno la bellicosità nei confronti dei conspecifici (ipotesi 1).

L’ipotesi 1 genererebbe meccanismi di riconoscimento intraspecifico sempre più sofisticati, capaci di distinguere un ceratopside dalle altre specie basali: ovviamente questo meccanismo sarà indirizzato proprio verso quelle zone anatomiche che distinguono un ceratopside da un basale, ovvero, in base al dato 1B citato sopra, le corna.

STADIO 3

Se la tendenza al riconoscimeto dei conspecifici basata sulle caratteristiche craniche si fa molto spinta, emerge un modello di speciazione su base comportamentale: ammettiamo che in generale, sia i ceratopsi che i basali presentino un meccanismo di riconoscimeto dei conspecifici: in base al discorso dello stadio 2 il range di tollerabilità dei ceratopsi (ovvero il limite morfologico oltre il quale un animale non è più riconosciuto come conspecifico potenziale) si è ristretto rispetto a quello dei basali (inoltre l’accresciuta bellicosità rende ancora più difficile per due ceratopsi morfologicamente distinti di incontrarsi).

Seguendo questo schema logico, se costruiamo un modello che descrive la microevoluzione di una specie di ceratopside e lo confrontiamo con quello di un basale, si osserva che a parità di fattori che possono generare delle popolazioni separate a partire della popolazione “madre”, la specie di ceratopsidi ha una maggiore probabilità di generare nuove specie, perché è più alta la probabilità che le popolazioni periferiche si allontanino morfologicamente dalla madre di quanto basta per superare la soglia reciproca di tolleranza e quindi di non incrociarsi più.

Inoltre, dato che i caratteri sui quali agisce il riconoscimento sono principalmente quelli relativi alle ornamentazioni craniche, una popolazione che sviluppa modificazioni craniche ha maggiore probabilità di divergere in una nuova specie rispetto a una popolazione che modifichi nel postcraniale: ciò è quello che si osserva nei ceratopsi, nei quali la differenziazione postcraniale tra le specie è minima rispetto alla cranica (e ricaviamo il dato 2).

Il dato 3 suggerisce che le ornamentazioni craniche siano caratteri ontogeneticamente tardivi, pertanto è plausibile che qualunque popolazione che sviluppi variazioni della velocità o della durata del ciclo di crescita abbia buone probabilità di divergere e diventare una specie distinta: dato che un ritardo della crescita non genera sostanziali modifiche craniche, è probabile che le popolazioni con un’accelerazione della crescita abbiano una maggiore probabilità di generare nuove specie rispetto alle popolazioni che ritardano la crescita (ipotesi 2).

Ma l’ipotesi 2 ha un effetto “non previsto”: se una specie ha un tasso di crescita accelerato rispetto alla ancestrale, i suoi individui svilupperanno (a parità di durata della vita) una taglia maggiore, (e ricaviamo il dato 1A).

In conclusione è plausibile che la comparsa delle corna e/o della bellicosità sia all’origine di molti degli aspetti più significativi dei ceratopsidi rispetto agli altri ceratopsi.

Questo modello può essere applicato ad altri taxa, in particolare ai Pachycephalosauria, mentre per altri cladi contraddistinti da ornamentazioni craniche e/o corporee sono più dubbioso (ad esempio per gli Hadrosauridae), questo perché a differenza dei ceratopsidi non è possibile stabilire una buona correlazione tra il carattere ornamentale e un modello comportamentale.

lunedì 25 agosto 2008

Il Valore ed il Colore

Prossimamente su Ultrazionale...

domenica 10 agosto 2008

Pompatissimo Post (C)autocelebrativo sull’Immortalità Ultrazionale e sulle Mitologie personali

Nota sonora: per una migliore comprensione del post, si consiglia di leggerlo con sottofondo di "Call to Army", "The Gods made Heavy Metal" e "Gates of Valhalla" dei Manowar.
Spero vivamente che l’argomento di questo post non sia frainteso, e, sopratutto, non sia basato su una mia svista colossale (no, non può esserlo: in tal caso, la coincidenza degli eventi sarebbe quasi da considerare una congiura ai miei danni, il che sarebbe ancora più assurdo, l’evidenza di una megalomania ancora più grande di quella che mi sta inducendo a scrivere).
Curz, Prince of Mantua, ha perfettamente ragione: ognuno dovrebbe essere libero di adorare i propri dei. Se, come ritengo, il senso del divino è un bisogno umano visceralmente determinato e storicamente strutturato, esso ha pieno diritto di essere conservato e difeso nelle misure e nei modi più in sintonia con le sue reali caratteristiche e fondamenta, senza discriminazioni.
Ovvero, una volta riconosciuto che il divino è l’archetipico modo di dare un senso all’esistenza (di per sé insensata, casuale e orgogliosamente meccanica ed indifferente nei nostri confronti), la società umana dovrebbe permettere ad ogni individuo di esprimere autonomamente e civilmente il proprio autonomo credo. Non solo, quindi, tramite le religioni istituite e storicamente affermate, bensì con una più democratica e pluralista libertà di espressione di sé.
Se la tua esistenza si realizza adorando un parallelepipedo di legno, carta stagnola e cavi elettrici, perché non potresti essere libero di considerarla la tua religione? Forse che la partecipazione ad un pellegrinaggio a Lourdes ha un grado di "verità" superiore, ci avvicina maggiormente al fantomatico "Senso" implicito in qualsiasi esperienza mistico-religiosa?
Se esiste un Sacro, un Valore che dà senso all’esistenza umana, per me è nella Conoscenza del Mondo. Lì si annidano i miei dei, da onorare e lodare.
Con Enantiophoenix ho elevato la mia già sostenuta (C)autostima a livelli quasi eroici. (In questo FRAngente credo di essere molto fortunato: dubito che cadrò mai in depressione per mancanza di autostima, né che proverò quella forma strisciante di malinconia che colpisce chi non si trova soddisfatto di sé stesso. In questo mi distinguo da una buona fetta della popolazione occidentale, malata di un’epidemica e continua mancanza di orgoglio personale ed amor proprio che ne fa la facile preda dei manipolatori d’opinione, dei demagoghi e dei pubblicitari). Come Eroe & Demiurgo, mi manca solamente la consacrazione da parte degli dei per accedere al Gondwanalla, il Paradiso dei Mesozoici, dove riposano i Dinosauri.
Spero di non suscitare le ire di ben più informati studiosi delle religioni... Gli dei di Gondwanalla sono simili, nella genesi, agli dei nordici che risiedono nel Valhalla: grandi condottieri ed eroi del passato elevati dal mito e dalla stima dei loro pari al rango di divinità protettive, punti di riferimento e criterio di valore (Micheli, 2004; pers. com.). Analogamente, i miei dei gondwanallici sono i Grandi della Scienza, in particolare tutto coloro che con la loro superiorità hanno espanso la Conoscenza sul Mondo. Essendo paleontologo, tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono alla paleontologia hanno un posto particolare nel Gondwanalla: la Dorata Sala Mesozoica.
La mia stima per Thomas Holtz, paleontologo americano esperto in Tyrannosauridi, risale ai tempi della tesi di laurea, quando stavo raccogliendo materiale utile per analizzare la filogenesi dei teropodi prossimi agli uccelli. I suoi studi sulla condizione arctometatarsale (per info, vedere su Theropoda-il blog) hanno influenzato quella tesi come pochi altri. Recentemente ho avuto alcuni scambi epistolari con Holtz, che mi ha contattato per avere una copia della descrizione di Enantiophoenix. In una delle sue risposte, oltre a congratularsi con me per l’articolo, esprimeva il piacere per il fatto che, finalmente, fosse stato pubblicato un articolo il quale mostrava una filogenesi dettagliata (ovvero con più rami distinti e non solo un cespuglio indifferenziato di linee evolutive) degli uccelli enantiorniti. In effetti, la filogenesi che propongo nel mio studio è la prima che risolva le relazioni interne di quel gruppo di teropodi tramite un’analisi cladistica completa. Come ho risposto ad Holtz, devo ammettere che tale risoluzione filogenetica è ottenuta al prezzo di avere i rami interni di quel albero relativamente deboli (ovvero suscettibili di essere modificati con nuove scoperte), una conseguenza inevitabile dell’aver voluto includere molte specie frammentarie nella filogenesi (criterio che non rinnego, anzi, che ritengo sia il più corretto... e che guida il progetto Megamatrice). Holtz, molto simpaticamente, mi ha risposto che in ogni caso, anche se debole, la mia filogenesi degli enantiorniti è un inizio, un punto di partenza dal quale poter costruire in futuro filogenesi sempre più dettagliate e robuste: esattamente ciò che si chiede ad una feconda ipotesi scientifica.
Vi chiederete quale sia il senso di questa nota personale (C)autobiografica in questo post...
Recentemente, Holtz & Rey hanno pubblicato un corposo volume divulgativo sui dinosauri. Allegato al libro, in appendice elettronica aggiornata regolarmente, Holtz ha prodotto una lista completa dei generi di dinosauri mesozoici noti. Nell’ultimissima versione, datata 1 Agosto 2008, e scaricabile in rete, è presente, ovviamente, il mio amato Enantiophoenix. Fin qui niente di eclatante: essendo un nuovo teropode, è stato incluso nella lista. Ciò che invece mi investe di orgoglio ultrazionale e di immortalità mesozoica è un dettaglio più articolato: il paragrafo sugli enantiorniti (comprendente Enantiophoenix) è strutturato filogeneticamente secondo un’ipotesi che è chiaramente quella del mio studio! Abbiamo gli enantiorniti basali, poi gli euenantiorniti, ed all’interno degli euenantiorniti tre gruppi derivati (esattamente come li propongo io), i gobipterigidi, i longipterigidi e gli avisauridi: tutti e tre i gruppi hanno al loro interno proprio i generi risultati nella mia filogenesi (più alcuni altri non inclusi nel mio studio), secondo rapporti filetici che prima del mio articolo non erano stati supposti (ad esempio, Vescornis è nei gobipterigidi, i due enantiorniti senza nome del Gansu sono nei longipterigidi, Halimornis è negli avisauridi). Insomma, Holtz ha basato la tassonomia degli enantiorniti derivati nell’appendice al suo volume proprio sulla mia filogenesi! Il fatto che uno dei paleontologi che più stimo, i cui studi hanno così inciso sulla mia formazione, ritenga i miei risultati così significativi e validi da utilizzarli in un suo lavoro è una delle più alte forme di consacrazione personale e motivo di orgoglio concepibili!
E Demiurgo liberò l’Opposta Fenice da Politomia, la Bestia dalle mille braccia irrisolvibili.
E gli Dei del Mesozoico videro che era cosa buona e giusta.
Allora Essi lo accolsero nel Gondwanalla, affinché incidesse il suo nome nel Portale della Sapienza, tra i suoi Pari e Stimati.
Ed il quinto giorno, il Demiurgo si riposò, perché aveva il Turno di Riposo, stappò una Kilkenny, due McFarland, una Guinness, un litro di Caduta ed una Scotch Silly con gli Amici, Fratelli e Coinquilini.
E tutti brindarono davanti ad una Grigliata Brixiosarda, oltre le TerreAlte, fino alla Fine dei Tempi.

mercoledì 6 agosto 2008

I figli alati di Atlante



Questo post è nato da divagazioni post-sonnellino post-NOTturno lavorativo. Forse ciò che sto per dire è già stato detto prima e meglio da altri, ma siccome è comunque (anche) materia originale del mio sacco da un chilo di materia grigia, merita un post qui...
Pterodaustro è uno pterosauro (un rettile volante) Ctenochasmatoide vissuto circa 120 milioni di anni fa in Argentina. Con un apertura alare di 1-2,5 metri, è uno pterosauro di taglia medio-grande (non gigante). La sua caratteristica più peculiare è il cranio: molto allungato e affusolato, incurvato verso l’alto, presenta una dentatura bizzarra, formata da numerosi piccoli denti conici nella mascella superiore e da una fittissima serie di “fanoni” filiformi, simili a quelli dei cetacei misticeti (balenottere e megattere, per intenderci) nella mascella inferiore. Questa morfologia è interpretata un adattamento ad uno stile alimentare filtratore, che induce a vedere Pterodaustro un analogo funzionale dei fenicotteri. Questa analogia ha generato il tema del post: i fenicotteri sono oggi gli unici vertebrati adattati a vivere e nutrirsi nei terribili laghi alcalini che si susseguono lungo la Rift Valley africana, la lunghissima depressione tettonica che da una dozzina di milioni di anni si sta aprendo in Africa Orientale. In questi laghi iperbasici, la cui acqua sodica è imbevibile, proliferano alcuni organismi, quali alghe unicellulari e piccoli crostacei, che i fenicotteri sono in grado di filtrare grazie alle lamelle del loro becco. Pterodaustro probabilmente si nutriva in maniera analoga. Ma dove voglio portare questo discorso? Fin qui non credo di aver detto alcunché di nuovo. Il mio discorso ora si fa prettamente paleogeografico. Come ho detto sopra, Pterodaustro si rinviene in depositi datati a circa 120 milioni di anni fa in Sudamerica. Esattamente in quel periodo iniziò l’apertura dell’Atlantico Meridionale, a seguito della spaccatura tettonica che divise le due parti del supercontinente di Gondwana che oggi chiamiamo Africa e Sudamerica. Tale proto-oceano nacque da una serie di faglie tettoniche geologicamente identiche all’attuale Rift Valley: per decine di milioni di anni non esistette un vero e proprio braccio di oceano tra le due parti del Gondwana, bensì una lunghissima Rift Valley “protoatlantica”. Pertanto, analogamente con gli ambienti attuali, quella lunghissima Rift Valley dovette ospitare una miriade di laghi tettonici, anch’essi probabilmente di natura alcalina, anch’essi popolati esclusivamente da piccoli organismi planctonici, il supposto cibo per Pterodaustro. La coincidenza geologico-cronologica-ambientale-morfologica è troppo forte per non vedere un nesso... Ovvero, è probabile che Pterodaustro sia il risultato dell’evoluzione di una linea di pterosauri ctenochasmatoidi che seppe sfruttare i nuovi ambienti creatisi a seguito dell’iniziale apertura dell’Atlantico. Essi furono, letteralmente, i primissimi abitanti dell’Atlantico Meridionale, molto prima dei pesci, dei rettili marini e dei mammiferi acquatici.

lunedì 4 agosto 2008

Il Primo lettore (spero non l'ultimo) di EdF

L'(E)neocelta ha terminato la lettura di "EdF"!
Come primo lettore, attendo un suo commento qui sul blog, a patto che non citi alcunché della storia, per non rovinare la lettura ed eventuali lettori futuri... voglio le sue impressioni generali...
L'Archeoshurina, Clastu e He-Lemm dovrebbero essere i prossimi...