venerdì 22 febbraio 2008

Kyoto è solo una città

Perché continuiamo a raccontarci le favole? La nostra civiltà è ancora così adolescente ed immatura? Accettiamo ciò che è e facciamo come hanno sempre fatto tutte le altre civiltà prima di noi...

Andiamo per gradi. Oggi parlerò di un mito post-moderno che verrà ricordato negli Inviolabili Archivi Alti delle Civiltà Superiori che verranno dopo di noi allo stesso modo col quale noi ricordiamo le isterie millenariste dell’Alto Medioevo. La favoletta in questione si può denominare come “Protocollo di Kyoto - senso largo” (PK-SL). PK-SL si distingue dal “Protocollo di Kyoto - senso stretto” (PK-SS) perché ne è l’estensione sintetica. In poche parole, quello che tutti conoscono genericamente come “Protocollo di Kyoto” è il PK-SS. Pochi però hanno compreso che PK-SS è parte di un sistema mitologico più grande, detto appunto PK-SL.

Il PK-SL è l’insieme delle opinioni, azioni e reazioni pro e contro al PK-SS. Si può dire, senza esagerare, che l’intera politica ed economia mondiale stanno diventando un’espansione del PK-SL. Ovvero, un’espansione di una mitologia, di una favola.

Il mito è il seguente: credere che sia possibile prevedere l’evoluzione futura del sistema climatico globale e, pertanto, credere di poter sviluppare politiche in grado di influenzare tale evoluzione. La favola è molteplice: è una favola credere che esista un qualcosa chiamato “evoluzione del clima globale”, così come è una favola il concetto stesso di “clima globale”. Esso è solo un nome collettivo, niente più che una metafora di qualcosa di enormemente complesso e poliedrico. Ovviamente, è una favola credere che ci siano politiche mondiali organizzabili: lo è per le questioni strettamente umane, figuriamoci per le questioni ambientali. Pertanto, credere che ci siano (anche solo in teoria) politiche mondiali organizzabili in grado di influenzare una favola chiamata “clima globale” è la favola più colossale di tutti i tempi.

Sarò spietato con tutti quelli che si consolano “lottando per Kyoto”: credere che ciò possa realmente influenzare qualcosa del “sistema climatico mondiale” è vano e miope come la credenza di certe civiltà estinte di americani che pensavano di far sorgere il sole ogni giorno estraendo il cuore da una vittima. Stessa miopia, stessa antropocentrica arroganza di essere attivi in processi totalmente aldilà della nostra volontà e capacità.

Non nego l’esistenza di cambiamenti climatici generalizzabili su scala globale (sarebbe assurdo come negare l’esistenza della biosfera), e non nego l’influenza umana su alcuni aspetti della “dinamica climatica”. Nego in maniera completa che la civiltà sarà mai in grado di poter alterare consapevolmente ed in maniera mirata il “clima”. Il “clima” cambia come gli gira a lui: noi siamo solo un nuovo tra gli innumerevoli fattori in gioco in una dinamica non-lineare, supercomplessa, aleatoria e fortemente caotica.

Una volta accettato ciò, forse potremmo iniziare a spendere tempo ed energie nell’unica attività che ci compete e che possiamo sperare di svolgere con successo: adattarci.

Se il clima si trasformerà, come è probabile (ma come non sapremo finché non accadrà), non ci compete minimamente: probabilmente anche se oggi, di colpo, l’intera umanità smettesse di inquinare, erodere, disboscare, emettere gas serra, riprodursi e consumare, probabilmente non inciderebbe minimamente sulle dinamiche in atto. E anche se qualcuno si ostina a credere che far qualcosa sia meglio che lasciar andare tutto in malora, io rispondo dicendo che, probabilmente, la malora è già in atto e non muterà in base ai nostri atti, e che conviene cercare di prepararsi, adattandosi all’eventualità di una trasformazione inattesa, imprevedibile, oppure solamente inarrestabile.

Adattarsi, come fecero i nostri predecessori, meno megalomani, più consci di noi della limitatezza umana nei confronti della Natura. Adattarsi ai deserti, alle tempeste, al gelo, all’erosione, alle inondazioni, alle invasioni di insetti, alla subsidenza delle coste, alla carenza di spazio e di risorse. Adattarsi a rinunciare a credere che il mondo sia un giardino immutabile datoci in dono e custodia.

1 commento:

  1. Un post che trasuda Ultrazionalità pura. Un concetto di fronte al quale i benpensanti & perbenisti & schiavi totali di Visceralia si ritraggono come un bambino di fronte a una stanza buia.

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