giovedì 31 gennaio 2008

Lode al Cippo


Idem come sotto.
Opera di Cusna.

Il Buco

Mi limito a trasmettere questa mail mandatami dal mio alto fratello:

"Carissimi
vi allego l'unica foto in cui A****** P****** mostra un vero buco.

E a voi tutti irriducibili (non in senso chimico) spedisco questo richiamo poetico ritrovato inciso su una pietra del Monte Gottero:
"Noi, uomini della tradizione, percepiamo inesorabilmente la decadenza dell'uomo moderno." Anonimo.

A presto.
Cusna"

Il Figlio più duro e puro di Ultrazionale è nato!

Vi segnalo la nascita del mio secondo blog: http://theropoda.blogspot.com. Il collegamento è già presente nella colonna in basso coi link.

Si tratta di un’emanazione dei post del Doctor Kause. Un’emanazione ultra di nicchia, esclusivamente dedicata ai miei amati teropodi. A differenza dei post del loro padre ultrazionale, quelli di Theropoda sono orgogliosamente paleontologici, duri e crudi, senza sconti per i profani.

Se non vi interessa, non importa! Non è nato per fare audience tra deboli menti mammaliformi.

mercoledì 30 gennaio 2008

Anthropocene? Anthropocentrism may be better.

Nell'ultimo bollettino della società geologica americana compare un articolo che propone di istituire un nuovo piano (cioè un intervallo geologico e cronologico) che comprende gli ultimi 3 secoli, e propone di chiamarlo Anthropocene (da anthropos, uomo). In pratica, essi affermano, non viviamo più nel piano Olocene, iniziato (solo) 10.000 anni fa, ma in un nuovo piano caratterizzato dalla massiccia attività geologica e ambientale umana, così intensa da agire estesamente a scala globale, e da meritare un rango temporale a sé.
La proposta mi pare inutile e futile.
Chi la propone (ammesso che non lo faccia solo per attirare l'attenzione attaccandosi al carrozzone del neocatastrofismo ambientalista oggi molto pubblicizzato) pare non aver bene in mente cosa sia un piano geologico, né quale sia la sua utilità.
La miopia del concetto di Anthropocene si può riassumere nell'altra ben più antica miopia che ha rallentato per secoli la scienza: l'antropocentrismo.
Con quali criteri si può pensare di mettere allo stesso livello concettuale 3 (miseri) secoli con piani che, di norma hanno una durata media di 5 milioni di anni (se prendiamo in causa solo il Cenozoico, ma molti di più se prendiamo tutto il Fanerozoico)? Io sarei favorevole persino ad abolire l'ultimo piano (l'Olocene) che dura solamente 10.000 (miseri) anni (viviamo in una consueta fase interglaciale tra le tante del Pleistocene, punto e basta: solamente il nostro vano egocentrismo ci induce ad elevare 10.000 estati al rango di epoca geologica).
I sostenitori dell'Anthropocene dicono che i cambiamenti geologico-ambientali-climatici prodotti dall'attività umana negli ultimi 3 secoli sono tali da meritare uno status di epoca a sé. Concordo che i cambiamenti in atto sono rapidi (alla scala geologica) e diffusi, ma ciò non costituisce un criterio sufficiente per istituire un nuovo piano. Piuttosto, ci sarebbero le ragioni per affermare che stiamo vivendo un evento geologico repentino, ma non necessariamente una nuova epoca.
Forse che la (probabile) catastrofe dell'impatto alla fine del Cretacico è stata elevata a piano geologico? No, essa è un evento, che marca il limite tra 2 piani (e periodi ed anche ere). Analogo discorso per le decine di eventi intensi ed improvvisi disseminati lungo la storia della Terra. Tutti eventi, ma nessuno è chiamato epoca. Esempio antropocentrico: forse che la notte dell'incidente che 2 anni fa mi fracassò le ossa la ricorderò alla stessa stregua degli anni del liceo, o della vita pueblica? Fu un evento improvviso e drammatico, ma nel complesso non ha alterato la mia vita (più di qualsiasi altro evento serendipico e aleatorio) né ha la stesso valore gerarchico delle maggiori fasi dell'esistenza.
Se davvero gli eventi attuali sono indotti dall'Homo sapiens industriale, allora essi dureranno come lui: e dubito che la nostra civiltà e specie avrà una longevità tale da essere ricordata come un piano geologico. Già 10.000 anni nel futuro mi pare ottimista, figuriamoci milioni di anni.
Conclusione, l'Anthropocene è solo un'esagerata manifestazione dell'Anthropocentrismo.
W il Pleistocene!
Hail to Mesozoic!


martedì 29 gennaio 2008

Diario di Un Naturalista nel Mesozoico

QUARTO GIORNO

Ho dormito malissimo. Le piogge della notte scorsa si sono abbattute con violenza sull’accampamento, impedendoci di riposare con calma. Alla fine, la tempesta si è portata più all’interno, risparmiandoci.

Sbircio un istante fuori della tenda, ma non ottengo molto. Il riparo di roccia che ci fa da tettoia e tutta la radura antistante sono velati dalle nebbie dell’alba, e tutto è ammantato dalla bassa luminosità orientale, che accende suggestioni e timori. Tenteremo un’esplorazione, per farci un’idea della nostra posizione.

Portare con noi gli stivali è stata una buona idea. Il terreno si è fatto saturo d’acqua ed in molti punti è impraticabile. Ruscelli improvvisati ed effimere pozze sembrano indirizzarci verso la boscaglia, in direzione della folta copertura arborea posta a mezzo miglio dal campo base. Ci avviamo, accecati dal riflesso dell’alba sugli specchi estemporanei, in direzione est. Là, oltre la foresta, presumiamo che il breve emissario che dà direttamente sul lago principale della regione si apra la strada.

Sappiamo che con le prime luci le mandrie si portano lungo la spiaggia fangosa per approfittare del corridoio naturale che collega il promontorio con l’entroterra. L’abbiamo intuito durante la prima ricognizione di ieri, quando avevamo osservato migliaia di orme impresse di recente sulla piana fangosa. Purtroppo, nei tre giorni che abbiamo già trascorso dal nostro sbarco, non abbiamo ancora visto nessuno degli autori delle impronte; ma confidiamo che oggi sia una giornata fruttuosa. Siamo molto eccitati all’idea di osservarli da vicino. Binocolo al collo, armati di macchina fotografica e taccuino, partiamo.

Gli insetti svolazzano sulle pozze e ci seguono incalzanti. A parte l’entomologo del gruppo, che ha già riempito due cassette di nuovi reperti, siamo più seccati che affascinati dall’incredibile diversità di forme che ci ronza attorno. Io, in particolare, sono pan-ornitologo e considero gli insetti poco più che potenziali prede, o probabili parassiti, dei miei oggetti di studio.

Il botanico mi richiama poco più avanti, verso di lui. Sotto le fronde di una felce ha intravisto, iridescente, quasi metallica, una stretta penna bluastra, lunga come la mia mano. La raccolgo per controllarne il vessillo. L’amico, inorgoglito dalla sua scoperta, mi chiede se sia possibile risalire alla specie di uccello a cui apparteneva. Mi limito a borbottare, con aria pedante, che potrebbe anche non essere un uccello. Il botanico non capisce se sia uno dei miei soliti commenti sibillini o se lo stia prendendo in giro. Una penna, con tanto di calamo allungato, rachide e barbe, deve essere di un uccello. Mi guarda col suo solito occhio mezzo strabico e accenna un’ovvia, quasi sacrosanta, giustificazione: l’identificazione si basa sulla presenza o assenza di caratteristiche diagnostiche e peculiari, distintive di una particolare specie, o di un gruppo naturale di specie imparentate. Le penne ed il piumaggio sono il carattere distintivo degli uccelli, per eccellenza, quasi l’essenza dell’essere uccello: quindi, una penna indica senza dubbio un uccello. Si può disquisire sull’attribuzione o meno ad una particolare specie di uccello, ma non si discute che di un uccello si tratti. L’amico si attende una risposta, ma mi limito a segnare sul taccuino la sua interessante affermazione: più avanti, sicuramente, avremo modo di commentarla con maggiore oggettività. Con un ampio sorriso, lo indirizzo a farci da guida nel suo regno. Ci inoltriamo tra le forme contorte e grottesche degli alberi della foresta: il botanico si rilancia, pieno di passione, tra le sue amate piante superiori. Io mi soffermo sulla mia misera penna: magro bottino, se paragonato a quello che stanno raccogliendo ed osservando l’entomologo ed il botanico. Ma non sono il solo ancora deluso: di fianco a me, attratto dai riflessi iridescenti che tengo in mano, è arrivato il nostro esperto in grandi erbivori, il capo della spedizione. Con il suo solito stile, sarcastico e moderato, si congratula per la mia preda: ora è lui l’unico ancora a bocca asciutta. Accenno una risposta consolatoria ma il capo mi blocca: qualcosa si sta muovendo sopra le nostre teste. Tutti e quattro ci fermiamo, trattenendo il respiro. Per quanto sia ovvio che la fauna locale non provi il minimo timore per i quattro intrusi giunti da lontano, la nostra abitudine a minimizzare l’impatto, a ridurre al minimo il disturbo prodotto dalla nostra presenza, e la memoria delle innumerevoli occasioni nella quali abbiamo vanificato le nostre esplorazioni casalinghe spaventando incautamente gli animali, ci portano ad immobilizzarci, conservando solamente la vitalità negli occhi, la rapidità rapace nella vista. Eccoli, li vedo! Lassù, tra l’incavo di due rami, nascosta dal fogliame e dai rampicanti, riconosco una coppia di animali, poco più grandi di una gazza. A rivelarli sono stati i quattro puntini luminosi degli occhi e… Si muovono! Ora li riconosco. Uccelli… per la precisione, due uccelli sacri a Confucio. Rimango immobile per un tempo indefinito, preso dalla visione dei due animali, così familiari eppure tanto dissimili dai loro equivalenti che conosciamo. Insisto, per restare ancora un po’, per trarre il massimo possibile da quella scoperta che, almeno per me, è straordinaria. Il capo mi scuote con decisione, per farmi accettare l’inevitabile. Dobbiamo tornare al campo. Purtroppo, la coppia di uccelli ha dato la conferma definitiva a ciò che le suggestioni del botanico avevano preannunciato. Abbiamo sbagliato meta. O meglio: è evidente che siamo solo a metà del nostro viaggio di andata. Il capo accende il portatile e comunica al comandante, in attesa ben sopra le nostre teste, che siamo in procinto di rientrare. Faccio in tempo a scattare una foto alla coppia, prima che si dilegui oltre il fogliame. Sarà per la prossima occasione: non mancheremo di tornare qui, al momento opportuno.

Sento il capo che continua a parlare al portatile. Parla ancora con il capitano: gli sta facendo presente la differenza tra due piani geologici, il barremiano ed il noriano, ed ha un tono leggermente seccato. Il botanico suggerisce di evitare i nomi delle età, di dare al capitano solamente delle date. Il capo concorda: essendo un fisico, il capitano saprà districarsi meglio tra i numeri che tra le vaghe denominazioni delle età terrestri. Con un secco: “siamo finiti a centoventi milioni, e non a duecentoquaranta!” ottiene l’effetto voluto. Spegne il portatile e si rivolge a noialtri. Appena smontato il campo, verranno a prenderci e ripartiremo verso la destinazione definitiva.

Spero che non si verificheranno altri intoppi. Viaggiare nel tempo non si concilia col mio stomaco: meno balzi faremo per giungere alla prima tappa, per arrivare al Triassico, meglio sarà.

lunedì 28 gennaio 2008

Il Mondo è molto piccolo (gemelli separati alla nascita)



So di scrivere una castronata pazzesca, ma secondo me il Ferro (also known as William), gestore dell'Highlander Pub di questa città, è il gemello di Eric Adams, cantante dei Manowar...

Figli ap(post)a per me

Molti post non piacciono ai miei quattro lettori perché, probabilmente, sono percepiti come autoreferenziali estremi, ovvero: non parlano minimamente di esigenze della specie di chi li scrive, quanto di sé stessi e basta. Ed il lettore, egocentrico e affamato, che ama rispecchiarsi in ciò che legge, ne è frustrato e se ne va.
Tanto più un post è autoreferenziale (estremo), tanto meno sarà (c)autoreferente.
I post della serie Doctor-Kause sono quelli meno (c)autobiografici e (c)autoreferenti (sia chiaro, anche loro hanno una quota di (c)autoreferenza, ma è minore di quella nei post contingenti-olocenici e di quelli sul Pensiero Ultrazionale) quindi quelli relativamente meno assimilabili... eppure, sono quelli che amo di più. Questo perché sono quelli relativamente meno dipendenti dal Demiurgo per la loro esistenza. Pertanto, sono quelli che si svezzano prima, quelli che con minore probabilità tornano indietro a reclamare la paghetta.

Questo post, purtroppo, non appartiene alla categoria che descrive. Presto allungherà il collo verso di me e reclamerà la sua quota di vermi.

Diritti di (C)autore

Vorrei pregare gentilmente tutti coloro che usano mie elaborazioni grafiche (fotomontaggi e altro) nei loro recessi del Web (siti, blog, ecc...) di avere la cortesia di scrivere che le opere sono mie.

Non chiedo di mettere il mio nome, basta solo le iniziali, o al più un link che rimandi al blog Ultrazionale.

Lasciandole anonime, si finisce con l’indurre (spero non apposta) chi le vede ad attribuirle ai proprietari del sito/pagina web e non a me: e diventa seccante scoprire che altri ottengono commenti (non solo quelli positivi, anche gli insulti sono comunque rivolti a me e non a loro... quindi spettano a me che li merito!) nelle loro pagine come se quelle “opere” fossero state create da loro stessi.

In Italia la proprietà intellettuale (di qualunque forma e qualità) è ancora un valore... spero.

Il Modello "Visceralia"

Qualche giorno fa, parlando con He-Lemm, mi sono accorto che non sempre certe metafore che uso in questo blog sono comprese alla maniera per le quali le avevo create. In particolare, è probabile che debba chiarire il concetto di Visceralia, dato che spesso è stato travisato.

Visceralia è parte di un modello. Sebbene sia una semplificazione estrema di quello che, secondo me, accade nella nostra mente, trovo che sia un concetto utile per descrivere molte situazioni mentali.

Il modello della mente umana che uso qui, e che non è detto che sia corretto, ha alcune assunzioni di base.

La mente-cervello è formata da una popolazione di enti mentali-cerebrali. L’autocoscienza, l’emotività, i sentimenti, la razionalità sono alcuni (e non gli unici) di questi enti.

L’autocoscienza non ha consapevolezza dell’intera popolazione mentale. Nondimeno, essa è cosciente degli effetti secondari che enti non percepibili direttamente producono su enti che invece può percepire. Ad esempio: non abbiamo consapevolezza delle attività neuronali che regolano gli organi interni, né siamo in grado di controllarli, ma percepiamo i segnali che questi ultimi inviano, come ad esempio la fame o il dolore.

L’insieme dei sistemi mentali percepiti direttamente dalla (e come) coscienza forma una rete superficiale, detta Razionalia, che “galleggia” su un sistema più vasto di strutture non autocoscienti, detta Visceralia.

I collegamenti tra le diverse aree di Razionalia passano per Visceralia. Nel far ciò, esse sono condizionate dalle attività di Visceralia.

Visceralia segue programmi genetici e biochimici. Non è logica né autocosciente. Pertanto, i collegamenti tra le parti di Razionalia, passando per Visceralia, non sono logici né razionali. Logica e razionalità sono prodotti delle attività dentro Razionalia.

Visceralia ha prolungamenti che raggiungono le aree di Razionalia, influenzandoli indirettamente. La consapevolezza di questa influenza è elaborata da Razionalia come emozioni.

Questo modello ipotizza che:

Visceralia è scarsamente influenzata da Razionalia. Al contrario, Razionalia dipende da Visceralia per la propria esistenza e funzionalità.

Variazioni e attività di Visceralia influenzano e disturbano Razionalia.

Le emozioni sono interpretazioni di Razionalia su stati di Visceralia.

In caso di conflitto tra le esigenze di Visceralia e Razionalia, la prima tende a vincere. Ciò accade non tanto perché Visceralia sia consapevole di avere obiettivi ed esigenze (solo una parte di Razionalia lo è), quanto perché le connessioni tra le parti di Razionalia, passando per Visceralia, sono modificate e distorte dalle attività del mezzo tramite cui passano.

Andare Oltre la Dittatura Mediocratica

Questo post è ultrazionalmente politico. Una serie di concause, sia strettamente personali che contingenze generali, mi porta a scriverlo. Da un lato, l’induzione prodotta da un libro di P. Odifreddi (vedi post del 18 aprile 2007 su un altro suo libro: “Perché non possiamo non leggere “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” (e meno che mai non apprezzarlo)”) avente per tema i paradossi, che mi è stato prestato da He-Lemm (grazie, l’omo!), dall’altro l’attuale situazione politica italioide (crisi dell’attuale governo, blaterante diatriba sulla legge elettorale ed il concetto di “casta”). Partendo da un capitolo sui paradossi della democrazia (primo tra tutti i paradossi, essa non esiste realmente perché matematicamente chimerica e logicamente insoddisfacente...) mi sono soffermato su un curioso modello che predice con agghiacciante candore l’attuale tendenza della politica, cioè la transizione verso una Dittatura della Mediocrazia. Ecco il modello, e come esso evolva rapidamente nella Dittatura Mediocratica.

Immaginiamo una popolazione esprimente tutte le sfumatura di indirizzo politico all’interno di un classico sistema occidentale. Essa è rappresentabile da una fascia orizzontale che a Destra è blu e a Sinistra è rossa. I due colori sfumano verso il centro in un candido e moderato Centro. Chiunque concorderà che questa è una buona rappresentazione della situazione nostrana. Almeno come essa è descritta è propagandata.

Questo sistema ha due probabili esiti, una volta che si vuole rappresentarlo in un parlamento di poche centinaia di eletti:

Primo Esito: si forma un certo numero di piccoli partiti, espressioni di settori particolari della fascia colorata. Questo fenomeno è detto “frammentazione politica” e sembra essere l’attuale tendenza reale del sistema politico. Paradossalmente, esso è demonizzato da tutti coloro che lo producono, perché ritenuto segno di instabilità e ingovernabilità. Al limite estremo di questa tendenza al particolarismo, ogni eletto è un partito a sé. Ovvero, si estinguono i partiti, restano solo i rappresentanti dei collegi elettorali. Potrebbe essere una soluzione più democratica della partitocrazia esistente... ma non espanderò oltre questo argomento.

Secondo Esito: si formano solo due schieramenti maggiori (partiti o coalizioni, non fa differenza) i quali esprimono le due tendenze principali manifeste nella fascia colorata. Chiamiamo questi due partiti “Rosso” e “Blu”, come i colori della fascia. Il fenomeno appare come la tendenza desiderata, il mito delle (il modello indotto dalle) maggiori intelligenze (?) politiche. Il ragionamento essenziale è il seguente: due grandi partiti sono più forti e stabili di decine di piccoli partiti. Essendo netti e distinguibili, sarebbero capaci di alternarsi come maggioranza e opposizione.

Ma, cosa accadrebbe se introducessimo due soli partiti nella competizione elettorale? Dove si collocherebbero? Ovviamente, uno a destra e l’altro a sinistra. Ma dove, esattamente? Ingenuamente, dal punto di vista dell’elettore, essi dovrebbero collocarsi a circa 1/4 e 3/4 della lunghezza della fascia, in modo che ognuno possa raggiungere il massimo consenso dalla propria metà di fascia. Questo è il proposito ufficiale propagandato: la fantomatica Sinistra Moderata (“Centro Sinistra”) e Destra Moderata (“Centro Destra”). Sulla base di questo modello, pochissimi elettori si collocherebbero al centro vero e proprio, ma tenderebbero verso la posizione di uno dei due partiti.

Ma accade proprio questo? Dato che un partito agisce in nome del proprio interesse di parte (per definizione, la parola “partito” dice proprio ciò), non di quello dell’elettorato intero, i due Partiti tenderanno a competere per conquistare quanta più fetta della zona intermedia. Ciò è ovvio: nel regime bipolare e bipartitico la fasce più colorate (l’estremo blu e l’estremo rosso) sono chiaramente indotte a non scegliere tra le 2 alternative proposte dai due partiti, bensì a mantenersi fisse sul partito del loro colore, senza alternativa: ognuna della due sceglierà il partito a lei più vicino, non certo quello posto dall’altra parte della fascia colorata. Quindi, di fatto, nel bipolarismo gli estremi non hanno possibilità di scelta, e quindi non devono essere convinti. Al più, essi hanno libertà solo di astensione (o di deriva extraparlamentare). Di conseguenza, per entrambi i Partiti non ha senso perdere tempo e energie per accattivarsi un elettorato posto agli estremi, che al massimo può non votare per niente, ma di sicuro non voterà per l’avversario. Tutte le energie saranno quindi poste per accattivarsi il Centro. Conseguenza inevitabile, i due partiti convergeranno al centro. Ciò produrrà l’attenuazione delle reciproche differenze, che finiranno col dissolversi. I due partiti diventeranno gemelli (al più appena speculari). Come nota Odifreddi, alla fine che senso avrà scomodarsi per decidere tra due candidati che propongono lo stesso programma?

Infine, i due partiti, identici nei programmi quindi identici negli interessi (la conservazione del potere), esprimeranno solamente l’ipocrita facciata di un unico partito, il Partito Mediocratico, avente come modello umano il mediocre, come strumento di propaganda i media. Paradossalmente, il centro, che all’inizio del processo bipolare non doveva aver quasi alcun rappresentante, diventerà la maggioranza. Anche in questo secondo esito, i partiti si estinguono.

Già oggi vediamo l’embrione del Partito Unico della Mediocrità in azione. L’ultimo Governo Prodi vinse con solo una manciata di voti: considerando che l’affluenza alle urne fu molto alta, si deve dedurre che l’Italia è rappresentata esattamente dalla fascia colorata simmetricamente usata sopra. Quindi, la premessa del nostro modello evolutivo è un dato di fatto. Esiste. La nascita dei grandi partiti di Centrodestra e di Centrosinistra è il segno che la seconda fase della deriva Mediocratica è in atto. L’autoreferenzialità estrema ed inutile con la quale i due “schieramenti” fingono di litigare, e l’assurda discussione sul sistema elettorale fine a sé stesso sono la prova che anche la fase finale è in gestazione. Il potere di micropartiti centristi (come quello di Mastella) dimostra che il Centro (qualsiasi cosa esso sia) è il vero padrone della politica parlamentare, e che a lui puntano ambo le coalizioni.

Tutti gli indizi mostrano che la tendenza è verso la nascita di un Partito Unico Mediocratico, un terribile ossimoro (se le parti di una totalità devono essere almeno 2, un partito “unico” che parte rappresenta? tutta, quindi sarebbe più corretto non chiamarlo più “partito”) nei confronti del quale non troverebbero posto né gli estremi della fascia colorata (che quindi smetterebbero di essere rappresentati, rafforzando il Centro, oppure degenererebbero velocemente in altre forme di espressione politica, extraparlamentare, o violenta) né quelli come me che non riescono a concepire il paradosso della partitocrazia, il riduttivo sistema del bipolarismo e la semplicistica favola dell’alternanza.

Sarà l’inizio di un Regime Totalitario della Mediocrità, statico ed autoreferente, nemico del merito e della complessità, il trionfo di una maggioranza miope e conformista, mollemente adagiata nella soddisfazione di esigenze pilotate demagogicamente, incapace di critica e di memoria?

Che l’Italia attuale sia una versione molle e postmoderna dell’Oceania di Orwell è ormai un dato di fatto. Il Partito-Casta-Chiesa Unica Mediocratica non solo ha il potere assicurato dallo stesso sistema politico, ma ha anche tutti i mezzi mass-medi(ocr)atici per imporsi culturalmente come l’Unico, Buono e Giusto modo di pensare. Ormai sembra quasi impossibile non pensare fuori del paradigma mediocratico fondato sulle consolanti semplicità delle dicotomie Destra e Sinistra, Maggioranza e Opposizione, Nord e Sud, Pubblico e Privato, No-Global e Sì-Global, Noi e Loro...

Come uscire da questa tendenza? La spiegazione ultrazionale è molto semplice: l’errore di fondo è il modello di partenza, l’idea che una linea monodimensionale e bicromatica sia una fedele rappresentazione della realtà sociopolitica. Uno spazio tridimensionale policromo sarebbe pur sempre una semplificazione ma perlomeno più vicina alla reale complessità... Eppure, Destra e Sinistra sono ancora vivi nella mentalità dominante: due concetti che, inutile ricordarlo, sono della metà del XIX secolo. Purtroppo, la massa è stata bene addestrata a pensare esclusivamente in maniera semplice, dicotomica e lineare (destra e sinistra altro non sono che una versione relativizzata dell’antica e falsa dicotomia tra Bene e Male... relativizzata perché per scoprire chi è il bene e chi è il male bisogna prima decidere da quale schieramento guardare). Ed in fondo, il Grande Centro Mediocratico, tanto caro alla Chiesa Cattolica (“agli umili e semplici andrà il Regno di Dio”), non è forse una riproposizione del Nirvana delle religioni orientali, un Nulla senza Niente, nel quale annullare la propria individualità e dissolvere tutte le contrapposizioni?

L’inno del Grande Partito Mediocratico esiste da tempo:

Credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa...”. (L. Cherubini - Penso Positivo).

Io preferisco pensare in altro modo.

La saggezza dei celti

Ecco una serie di antichi proverbi celtici. Da quanto sappiamo, sono stati prodotti estraendo a caso delle parole da urne contenenti nomi e verbi “pompanti”.

I. RISPETTA GLI ALBERI, SONO VECCHI GENEROSI.

II. IL FIUME ASCOLTA CHI COMBATTE SOLO.

III. INSIEME CON LA MONTAGNA RESISTE L'UMILTA'.

IV. CON DOVERE SFIDO LA ROCCIA.

V. BISOGNA CAMMINARE PER AVERE GLI ALBERI.

VI. IL CANE RISPETTA LA SFIDA.

VII. IL FIUME ANTICO RESISTE.

VIII. SOLO GLI ALBERI ASPETTANO I VECCHI.

IX. LA ROCCIA SENZA ALBERI NON RESISTE AL FIUME.

X. IL VECCHIO ASCOLTA IL VALORE.

XI. IL TEMPO DEL VENTO È SEMPRE UMILE.

XII. LA PIOGGIA VINCE L'ARROGANZA.

XIII. IL PADRE CRESCE IL FIGLIO COME IL FIUME SCORRE DALLA MONTAGNA.

XIV. IL DOVERE DELL'ALBERO È CRESCERE IN SILENZIO.

XV. IL VENTO RESISTE ALLE SFIDE DEL FIUME.

XVI. IL RISPETTO PER GLI ALBERI NON ASPETTA.

XVII. ASCOLTARE IL FIUME È UN ANTICO DOVERE.

XVIII. BISOGNA COMBATTERE PER I VECCHI.

XIX. IL FIUME È UMILE MA FORTE.

XX. SOLO LA MONTAGNA RESISTE SEMPRE.

XXI. MAI COMBATTERE GLI ALBERI SENZA ASCOLTARE IL VENTO.

XXII. L'ANTICA PIOGGIA DI MONTAGNA TI SFIDA.

XXIII. SENZA UMILTA' IL GUERRIERO NON CRESCE.

XXIV. LA FORZA È NELL'ALBERO DELLA ROCCIA.

XXV. IL CANE È ANTICO, RISPETTALO.

XXVI. LA MONTAGNA COMBATTE MA ASCOLTA L'UMILTA'.

XXVII. SENZA VECCHI LA SFIDA NON SI RISPETTA.

XXVIII. BISOGNA SOLO ANDARE COL FIUME.

XXIX. IN MONTAGNA COMBATTE E RESISTE L'ANTICO.

XXX. LA MONTAGNA È SICURA SE SI È SICURI.

XXXI. IL FIUME SFIDA SEMPRE CHI NON ASCOLTA.

XXXII. IL VENTO DI MONTAGNA CRESCE NEI VECCHI.

XXXIII. IL SILENZIO È LA VOCE DELLA MONTAGNA.

XXXIV. VENDICA IL PADRE CHE ONORA IL FIUME.

XXXV. ASCOLTA L'ALBERO, È FIGLIO DELLA MONTAGNA E DEL FIUME.

XXXVI. UGO È ANTICO FIUME DI MONTAGNA.

XXXVII. (E)NEoceltA È GIOVANE LAGO DI PIANURA.

Le Leggi della Parafisica Plueblica

Vi ricordate le Leggi della Pezza? Esse sono parte di un intero paradigma di leggi parafisiche, alcune delle quali sono qui esposte:

Principio dell’(E)nentropia

Definizione:

L’(e)nentropia (K) tra N persone è proporzionale ai movimenti dell’ (E)neocelta (E).

Formalismo:

Ki = K0 + mE * vE * log N

Corollario: l’(e)nentropia aumenta sempre.

Principio di esclusione di Cauli

Definizione:

Dati due Cau (CA e CS) distinti e non omonimi, essi non possono occupare lo stesso posto nello stesso momento.

Formalismo: │C(x,y,z,t)A- C(x,y,z,t,)S │≠ 0

Corollario:

1) Un Cau sarà sempre l’ultimo a sapere dove sia un altro Cau.

Generalizzazione inversa:

Due persone che occupano lo stesso posto nello stesso momento, non hanno lo stesso cognome.

Esempio: la donna che mi ha portato in grembo non ha il mio cognome.

Corollario. Legge di Mantova sulla parentela: per quanto sia sempre incestuoso, farlo con le cugine materne è meno grave che con le cugine paterne.

Legge di Thais

Definizione:

Non importa quello che fai, dici o pensi: basta che mi fai toccare una tetta (PT).

Formalismo: PT = (-∞; +∞)

Nota bene: il portatore della tetta deve essere maschio.

Principio di Indeterminazione del Teatino

Definizione:

Dato un Teatino non stazionario nel tempo t, il rapporto tra le sue variazioni di spazio e di velocità è sempre minore o uguale ad un valore proporzionale al suo indirizzo.

Formalismo: ∆(xL) x ∆(vL) ≤ ki

Corollario:

1) Un Teatino stazionario è totalmente indeterminato.

Leggi della Pezza (vedi post apposta)

Legge Nominale della Prostituzione (o della frustrazione del respinto)

Definizione:

Data una relazione (R) di una XX con un XY, si definisce “Puttana per quel X” (Pt) la XX che non la dà mai a quel XY.

Formalismo: se R(XX, XY) = 0, allora XX = Pt

Corollari:

1) Mia madre è una donna di facile costume.

2) Siamo tutti figli di p...

Dilemma dell’autoradio (dell’autoradio di Lemma*)

Definizione:

Dati due fattori: 1): un autoradio usato (Au) in regalo da un amico (Lm); 2): un amico (E) anch’egli disposto a ricevere l’autoradio; e date due condizioni sconosciute dell’autoradio e mutuamente esclusive (Funzionante, F; Rotto, R), si deducono due sole possibili scelte (mi tengo Au = T; lo lascio ad E = L), le quali implicano quattro possibili esiti:

1) Mi tengo l’autoradio, Au funziona

2) Mi tengo l’autoradio, Au è rotto

3) Lascio l’autoradio ad E, Au funziona

4) Lascio l’autoradio ad E, Au è rotto.

Sulla base dell’esito della procedura di scelta, si deduce la seguente condizione:

1 = sei fortunato ed egoista, quindi su di te si applica la Legge di Thais; 2 = sei sfortunato ed egoista, quindi sei fesso; 3 = sei generoso; 4 = sei un Cau.

Formalismo:

TAu, AuF → PT = (-∞; +∞);

TAu, AuR → Pt = 0;

LAu, AuF → Pt > 0;

LAu, AuR → Cau.

*: tratto da una storia vera.

venerdì 25 gennaio 2008

Albero di famiglia

Questo albero mostra gli scheletri dei membri ancora viventi del clade Hominoidea, raggruppati secondo le reciproche relazioni di parentela. Da sinistra, Gibbone, Orango, Gorilla, Scimpanzè e Uomo.
NOTA PER I NON PRATICI DI CLADOGRAMMI: L'albero illustra le reciproche relazioni di parentela: non va letto come una sequenza di antenati e discendenti! Nessuna specie di scimmia vivente è una nostra antenata! La frase "l'uomo discende dalla scimmia" dice che esisteva una scimmia che è nostra antenata, ma bisogna ricordare che essa è estinta! (So che per i naturalisti è noto, ma per molti altri persiste l'errore concettuale di vedere nello scimpanzè un nostro progenitore).
Nel Miocene (che è anche vostro-cene) esisteva un numero ben più alto di specie ominoidi viventi contemporaneamente. In effetti, a parte Homo, gli altri sono pochi e limitati alle basse latitudini. La banda ominoide sembra in netto declino di disparità anatomica rispetto ai fasti di 5-10 milioni di anni fa, sebbene non ci siano dubbi che Hominoidea non abbia mai avuto così tanti esemplari viventi nello stesso momento come ora. Paradossi dell'evoluzione.

Design fotoshoppato


Una delle mie forme di relax preferito è la creazione di forme astratte o di manufatti simil-reali con i programmi di grafica. Questi sono due esempi.

giovedì 24 gennaio 2008

La velocità dei dinosauri, tra ossa sostanziali e falcate formali

Nella scena più famosa dell’ormai datato film di Spielberg, l’attempato proprietario del Parco Giurassico risponde con tanto di misurazione cronometrica alla prima domanda che il paleontologo, in piena crisi di Stendhal, aveva posto alla vista delle attrazioni dell’isola: “Tyrannosaurus rex va a cinquanta chilometri l’ora”. Misurare la velocità di un animale (uomo compreso) è più complesso di quanto sembri dalle cronache alle olimpiadi e nei circuiti automobilistici: le irregolarità della traiettoria e del terreno su cui si muove un animale selvatico rendono le stime molto incerte se non dubbie. Nell’attesa che John Hammond costruisca il primo Tyrannosaurodromo regolamentare, è tuttavia possibile stimare l’andatura e la velocità dei dinosauri basandosi sui dati paleontologici disponibili.

I metodi per la stima della velocità di un animale estinto si possono dividere in due categorie: metodi diretti e metodi indiretti.

Generalmente non ci si fa caso, ma le impronte fossili e le serie di piste litificate lasciate dai dinosauri sono l’unica testimonianza diretta della loro vita passata: le ossa e gli scheletri rappresentano i resti di un animale morto, mentre le orme sono il segno lasciato da un animale vivente in attività. La paleoicnologia si occupa della catalogazione e dell’interpretazione delle impronte fossili e costituisce il metodo diretto per la stima della velocità di un dinosauro.

Un’orma singola non è di particolare aiuto nella ricostruzione dinamica di un animale, mentre una serie di orme lasciate in successione è ricchissima d’informazioni: è possibile determinare postura degli arti (ovvero se gli arti sono posti verticalmente sotto il corpo o se si divaricano lateralmente), risalire al tipo di andatura (sia bipede che quadrupede) e stimare la velocità.

La velocità alla quale viene lasciata una serie di impronte dipende da numerosi fattori biomeccanici, tuttavia è possibile semplificare il calcolo e considerare solo due parametri: la falcata (distanza tra un passo ed il successivo effettuato con lo stesso arto) e la lunghezza dell’arto stesso (che equivale all’altezza dell’animale a livello del bacino). La falcata è misurabile direttamente dalla pista, mentre la lunghezza dell’arto deve essere stimata dalla lunghezza dell’orma e da comparazioni con scheletri dei possibili autori della pista (raramente si trovano resti ossei dell’autore materiale della pista, ma si può risalire indirettamente a lui confrontando la forma delle impronte con gli scheletri di dinosauri risalenti all’età della pista)*.

In base a questo metodo è stato possibile stimare la velocità degli autori delle piste fossili meglio conservate; in particolare disponiamo delle stime delle velocità di sauropodi e di teropodi di medie e grandi dimensioni.

Le piste dei sauropodi indicano velocità molto basse, dell’ordine dei 4 Km/h, paragonabili alla velocità tipica per una passeggiata. Per un animale con arti lunghi più di 3 metri è un valore estremamente basso e sicuramente in linea con l’immagine tradizionale che fa dei sauropodi animali lenti e poco dinamici. Nel caso dei bipedi, vediamo che le velocità aumentano ma non significativamente: le piste dei grandi bipedi raramente superano gli 8 Km/h, la stessa che raggiungiamo camminando speditamente.

Parrebbe che i dati paleoicnologici avvalorino lo stereotipo dei dinosauri lenti e impacciati nei movimenti; tuttavia sarebbe erroneo ritenere che le piste fossili rappresentino l’intera gamma di velocità effettivamente raggiunte dai dinosauri: tutte le piste che si sono conservate fino ad oggi provengono da piane fangose prossime a specchi d’acqua (gli unici ambienti nei quali un’orma lasciata sul terreno ha la possibilità di conservarsi ed essere in seguito ricoperta dai sedimenti) e in genere gli animali non raggiungono le massime velocità in simili ambienti dove il rischio di impantanare e scivolare è molto alto.

La pista che documenta la massima velocità per un dinosauro proviene dal Texas: l’autore, un teropode di media taglia, riconoscibile dalle orme tridattile, avrebbe raggiunto i 45 Km/h, un valore notevole per gli standard umani e probabilmente nemmeno la velocità massima possibile, se si considera che stava correndo su una distesa fangosa.

Le possibilità di rinvenire testimonianze dirette di velocità maggiori sono poche, questo principalmente per i limiti imposti dallo stesso substrato fangoso che permette la conservazione dell’orma: è chiaro che le velocità maggiori erano raggiunte in spazi aperti nei quali il terreno è compatto e capace di esercitare la resistenza necessaria ad imprimere la spinta al corridore.

Per determinare se simili velocità fossero effettivamente raggiunte dai dinosauri, è necessario rivolgersi a metodi indiretti di stima della velocità: questi permettono di determinare “le prestazioni” meccaniche degli animali sulla base della loro anatomia scheletrica.

Uno dei metodi indiretti di stima delle velocità si rifà a modelli biomeccanici che considerano il peso dell’animale e le sezioni delle ossa degli arti: per ogni osso è possibile determinare un indice di resistenza e confrontandolo con le ossa di animali attuali si verifica se il dinosauro era capace di resistere alle sollecitazioni meccaniche impresse dalla corsa.

In base a questi calcoli emerge che i grandi dinosauri quadrupedi erano in grado di sopportare le stesse sollecitazioni meccaniche imposte ai grandi mammiferi attuali come elefanti, rinoceronti ed ippopotami, mentre le più alte “prestazioni” vanno cercate tra i teropodi di media taglia, come Ornithomimidi e i giovani Tyrannosauridi.

Un ultimo metodo per determinare le capacità locomotorie dei dinosauri è l’anatomia comparata: in base ad essa appare chiaro che le proporzioni ed il tipo di arti dei dinosauri ricordano molto più i grandi mammiferi attuali che i rettili “tradizionali” e che, come nei mammiferi, ci sia una gamma di adattamenti che va dal camminatore al corridore, riconoscibili dalle differenze nelle proporzioni dei segmenti ossei e nei tipi di inserzioni muscolari.

Lo studio delle proporzioni delle varie parti dell’arto posteriore mostra che i dinosauri più veloci erano probabilmente i teropodi celurosauri, il gruppo da cui traggono origine gli uccelli: in particolare molti gruppi del Cretacico (tra cui Ornitomimidi, Troodontidi e Tyrannosauridi) sono accomunati da una particolare specializzazione delle ossa del piede denominata “arctometatarso” (dal Latino arctus, serrato, incuneato).

Nell’arctometatarso, l’osso centrale che forma il piede (il terzo metatarsale) è incuneato tra le ossa adiacenti, così che il piede risulta una struttura compatta e allungata; inoltre lo stesso osso si assottiglia verso l’alto facilitando la trasmissione delle spinte meccaniche dal terzo dito del piede (che nei dinosauri è il principale punto di appoggio) all’articolazione della caviglia (che scarica principalmente sul secondo e sul quarto dito): si tratta di un probabile adattamento dell’arto posteriore per migliorare l’efficienza della corsa.

Se non ci sono dubbi delle capacità cursorie dei Tyrannosauridi di media taglia, la questione sulle capacità locomotorie di Tyrannosaurus adulto è lungamente dibattuta. Secondo alcuni è poco plausibile per un animale pesante come un elefante superare la velocità di un corridore umano, tuttavia è notevole la differenza morfologica tra lo scheletro della gamba di un tyrannosauro e quella di un elefante. Il primo è digitigrado, presenta profonde articolazioni a livello del ginocchio e l’arctometatarso tipico dei dinosauri corridori, il secondo è plantigrado, con ridotte articolazioni del ginocchio e del piede, caratteristiche di un camminatore: se effettivamente Tyrannosaurus fosse stato veloce (o meglio, lento) come un elefante avrebbe presentato una serie di adattamenti superflui per il suo stile di vita. (Si può rilevare che gli adattamenti potrebbero essere retaggio ereditato dei suoi antenati più piccoli e corridori, ma ciò non risolve la questione del perché Tyrannosaurus dovrebbe conservarli se non più funzionali al suo modo di vivere).

È probabile che Tyrannosaurus non raggiungesse le velocità tipiche di altri teropodi di taglia minore, tuttavia era più veloce delle sue prede abituali come hadrosauridi e ceratopsi, ed è plausibile che pur non potendo (per via della taglia corporea) correre alla maniera di uno struzzo (ovvero mantenendo in corsa una fase sospesa con entrambi gli arti staccati da terra) poteva scattare ad una velocità superiore a quella di un atleta olimpionico grazie alla grande falcata che i 3 metri e mezzo di lunghezza della sua gamba permettevano.

Il modo migliore per abbattere una preda potente e bene armata come un grande ceratopso non era l’inseguimento prolungato tipico dei canidi né lo scontro frontale che si osserva nei leoni, bensì era tramite un attacco fulmineo e devastante alla regione posteriore del corpo (come documentato da una ferita rimarginata scoperta nella coda di un hadrosauro ed attribuita ad un morso di Tyrannosaurus), ma per far ciò era necessario disporre della velocità sufficiente a sorprendere la preda prima che potesse girarsi e reagire all’attacco.

È probabile che i lunghi arti da scattista di Tyrannosaurus fossero parte integrante, assieme alla robusta dentatura ed ai ridotti arti anteriori, di una strategia predatoria evolutasi in un ambiente popolato da erbivori che preferivano la difesa attiva alla fuga.

*Servendomi dell’equazione utilizzata per determinare la velocità dei dinosauri sulla base della falcata impressa nelle piste fossili e dell’altezza dell’arto posteriore, ho provato a determinare quale potrebbe essere la velocità dei diversi dinosauri se fossero vincolati a camminare tutti secondo uno stesso modello, che chiamo “Falcata Formale” (così definito: nella massima estensione dell’arto, la tibia è verticale; nella massima retrazione dell’arto, il femore è verticale). Imponendo la Falcata Formale a tutti i gruppi, è possibile comparare le diverse velocità risultanti, per determinare quali siano meglio adattate a raggiungere alte velocità (sia chiaro, la velocità reale dipende da molti altri fattori, tuttavia, la semplificazione ha il pregio di mostrare quali morfologie siano tendenzialmente più cursorie in un regime omogeneo di andatura). Non è stata una sorpresa osservare che i gruppi più “veloci” sotto questo vincolo siano risultati i teropodi con piede arctometatarsale. Di fatto, i grandi ornithomimidi e i tyrannosauridi di media taglia sono risultati i dinosauri più veloci, con velocità di Falcata Formale superiori a 40 km/h. Un uomo (o meglio, qualunque bipede con femore, tibia e metatarso lunghi come quelli di un uomo) vincolato a muoversi con Falcata Formale si sposta a 25 km/h.

Tributo ai Manowar

Espansione della cresta cnemiale e dei processi trasversi nelle vertebre caudali dei carnotaurini: fenomeni distinti o unico adattamento?

Questa è un’ipotesi che mi frulla in testa da almeno 3 - 4 anni... Non è detto che un giorno non possa diventare un articolo scientifico serio. Per ora mi limito ad esporla in un terreno più consono per le libere (e spericolate) speculazioni.

Gli abelisauroidi sono dinosauri teropodi caratterizzati da numerose novità anatomiche sia craniche che postcraniali che permettono l’attribuzione al gruppo anche di resti molto frammentari. Carnotaurini è un gruppo di abelisauroidi del Cretacico di recente istituzione, diffuso principalmente nel supercontinente di Gondwana. I due generi più completi noti attualmente sono Carnotaurus e Aucasaurus, entrambi del tardo Cretacico del Sudamerica. Nei carnotaurini alcune delle peculiarità abelisauroidi raggiungono un grado particolare di specializzazione. In particolare, la cresta cnemiale della tibia (posta a livello del ginocchio) ed i processi trasversi delle prime vertebre caudali presentano morfologie assenti in altri gruppi di teropodi. La cresta cnemiale è allungata anteroposteriormente ed espansa craniocaudalmente, ed assume una forma “ad accetta” in vista laterale. I processi traversi caudali sono proiettati laterodorsalmente e si espandono distalmente. Sebbene apparentemente distinte, le due strutture descritte potrebbero rappresentare sottosistemi di un unico adattamento locomotorio. Io ipotizzo che l’espansione della cresta cnemiale, corrispondente ad un aumento dell’area di inserzione dei muscoli flessori tibiali superficiali, dimostri lo sviluppo di un modello locomotorio analogo a quello degli uccelli moderni, basato su un’ampia flessione del ginocchio. Lo sviluppo di espansioni distali in processi traversi caudali proiettati dorsalmente potrebbe costituire un’area supplementare per l’origine dei muscoli flessori tibiali esterni, che primitivamente è localizzata sulla superficie laterale della metà posteriore (postacetabolare) della lama dell’ileo. Ulteriori caratteristiche nelle vertebre caudali, nel cinto pelvico e nella regione del tarso di questi teropodi avvalorerebbero questa interpretazione. Nei carnotaurini sono presenti articolazioni supplementari tra le prime vertebre caudali, segno che la mobilità tra queste vertebre era significativamente ridotta. Ciò può indicare che la regione prossimale della coda agisse funzionalmente come un’estensione rigida delle vertebre sacrali, e che le espansioni laterali dei processi trasversi delle caudali prossimali non variassero significativamente la loro orientazione rispetto alle lame iliache. Forse (ma questa è la speculazione più azzardata) i primi processi trasversi caudali, orientati quasi verticalmente, funzionavano come un’estensione caudale delle stesse lame iliache, aumentando l’area di attacco dei muscoli pelvici. A questo proposito, è significativo notare che in alcuni teropodi basali, tra cui i carnotaurini, il margine caudale delle lame iliache presenta una incisione che sembra adatta ad alloggiare il margine prossimale espanso della prima coppia di processi trasversi: ciò sembra avvalorare l’ipotesi che i processi trasversi prossimali della coda fossero funzionalmente collegati con il bacino. Infine, nel piede, la regione prossimale plantare del tarso presenta una marcata espansione simile alla regione ipotarsale degli uccelli, che è il punto di passaggio dei tendini flessori delle dita. Questa espansione probabilmente indica che, analogamente con l’espansione dei flessori tibiali per la gamba, negli abelisauroidi era presente anche un sistema flessore del piede relativamente più sviluppato che in altri teropodi.

È interessante osservare che un abelisauride filogeneticamente prossimo ai carnotaurini, Majungasaurus, manca di entrambe le specializzazioni della tibia e della coda descritte nei carnotaurini: in questo teropode non sono presenti né le espansioni dei processi trasversi caudali, né le articolazioni supplementari che irrigidiscono la regione prossimale della coda. La cresta cnemiale di Majungasaurus è morfologicamente intermedia tra quella dei carnotaurini e quella “classica” dei teropodi (come ad esempio in Allosaurus) e manca della forma “ad accetta” che si osserva invece in Aucasaurus. Curiosamente, Majungasaurus presenta l’incisione del margine caudale della lama iliaca pur mancando delle espansioni dei processi trasversi: è possibile che questo carattere abbia preceduto evolutivamente le altre specializzazioni osservate nei carnotaurini e che sia stato cooptato secondariamente ad alloggiare le espansioni dei processi trasversi. Tuttavia, la documentazione fossile sulla distribuzione di questi caratteri tra gli altri abelisauridi è ancora frammentaria e non è possibile determinare senza ambiguità la serie evolutiva delle modifiche che hanno portato all’estrema specializzazione di Aucasaurus e Carnotaurus.

Bibliografia e Risorse Iconografiche:

Bonaparte, J. F. 1985. A horned Cretaceous carnosaur from Patagonia. National Geographic Research 1:149–151.

Bonaparte, J. F., F. E. Novas, and R. A. Coria. 1990. Carnotaurus sastrei Bonaparte, the horned, lightly built carnosaur from the Middle Cretaceous of Patagonia. Contributions in Science 416: 1–42.

Coria, R. A., and L. Salgado. 2000. A basal Abelisauria, Novas 1992 (Theropoda–Ceratosauria) from the Cretaceous of Patagonia, Argentina. Gaia 15:89–102.

Coria C. R., Chiappe L. M. and Dingus L., 2002. A new close relative of Carnotaurus sastrei Bonaparte 1985 (Theropoda: Abelisauridae) from the Late Cretaceous of Patagonia. JVP 22:460-465.

Rauhut O. W. M., 2000. The interrelationships and evolution of basal theropods (Dinosauria, Saurischia). Ph.D. dissertation, Univ. Bristol [U.K.], 1-440.

mercoledì 23 gennaio 2008

Druid



Celtiche visioni di saggezza... Antico fiume che scorre nelle mie vene. I cani di montagna guidano il padre...
Ci sto...

La scena è un pò mossa... ma il cameraman non è mai stato una celtezza in quel frangente.
Grazie Enè!

martedì 22 gennaio 2008

Target

Anniversario


Questo è un periodo di anniversari. Qui si commemora una delle notti più idiote a memoria di pueblici. Cenozoico Inferiore, Pueblo. Oggetto: pedinamento di un ubriaco con tendenza rallystica nei parchi pubblici.

Aforisma multidimensionale (per esperti)

Anche Nel Dichiararmi Rimango Eclissato Anche Celandomi Appaio Ulteriormente.

Definizione autoreferente (per principianti)

Artista Nominalista Dinosaurologo Relativista Evoluzionista Acido Cladista Agnostico Ultrazionale.

Revisione tassonomica dell’aggettivo “ultrazionale” basata sul principio di priorità.

Spesso ci contraddiciamo. Sta nella natura umana. Molto spesso le contraddizioni sono motivate, perché rispecchiano cambiamenti di impostazione, punto di vista o funzionalità cerebrale. Meno giustificabile è la contraddizione di una definizione arbitraria, sopratutto quando è stata una nostra creazione. In numerose occasioni e post ho usato il termine “Ultrazionale” alla stregua di un nome collettivo, di una categoria. Ciò era partito dall’applicazione delle presunte caratteristiche ultrazionali alla popolazione di esseri razionali che incontravo. Col tempo, l’aggettivo ed il sostantivo si sono ibridati, sconfinando l’uno nel campo dell’altro. Per quanto corretto nel metodo, questo uso di “Ultrazionale” è contraddittorio storicamente. Per il principio di priorità che governa la nomenclatura, io sarei dovuto rimanere vincolato alla prima definizione del nome. Andando a ritroso nell’archivio del blog, ho trovato la prima definizione formalmente tassonomica (che cita esemplari di riferimento e non solo caratteristiche astratte) di “Ultrazionale”. Al fine di non creare ambiguità, in questo post distinguerò il sostantivo “Ultrazionale” dall’aggettivo “ultrazionale”.

La definizione prioritaria di Ultrazionale, datata al 5 maggio 2007, dice:

“Ovviamente, il Demiurgo è l’Unico Ultrazionale, ma non è il solo essere razionale che calca il Logos con il suo 42 e 1/2 di scarpa. Tra le varie semi(sceme)-divinità minori spicca l’(E)neocelta, il razionale (e)neo-romantico e mitofilo. Arcaico amico del Demiurgo e compagno di innumerevoli discussioni (e birre), l’(E)neocelta è, nella forma come nella sostanza, una versione cenozoica (e quindi fondamentalmente ammorbidita) di razionalità ibrida”.

Questa definizione afferma che esiste un solo Ultrazionale, che coincide col Demiurgo, afferma che è una tra le molte forme di razionalità, e cita un esempio di razionalità che non è ultrazionale, l’(E)neocelta. Indipendentemente dal fatto che altri razionali condividano le caratteristiche che definiscono l’unico essere chiamato “Ultrazionale”, in base alla definizione prioritaria essi non sono ultrazionali.

Pertanto, tutte le volte che ho cercato di definire una categoria di “Ultrazionali”, o di affibbiare ad altri il termine “Ultrazionale”, sono caduto in contraddizione storica con la prima (e prioritaria) definizione del nome. Clastu più volte mi aveva bacchettato a questo proposito, ed aveva ragione (non so se i suoi ammonimenti fossero il risultato di questo ragionamento, forse in parte sì... Cla, sei tenuto a rispondere!).

lunedì 21 gennaio 2008

Aforisma (E)neoceltico 2

L'Appennino è la saggezza, le Alpi sono l'ira.

Aggiornamento del concorso

Vedo con mesozoico piacere che nel post sul Concorso le parole si sprecano a orde fluviali!
Bravi, ma ricordate che avete ancora 10 giorni... e per quanto una coppia di vincitori sia già presente, tutti coloro che hanno ancora delle possibilità di partecipare si facciano avanti per scalzare i primi e vincere!

(C)auguri in ritardo

(C)auguri con 2 giorni di ritardo a Cusna!!!
Frate (vocativo latino?), quest'anno tocca a te spezzarti qualche osso... è una tradizione di famiglia!

La Capitolazione di Visceralia (Mordor's fall)

Ieri è stata una giornata campale. Abbiamo scacciato l’ultima guarnigione del Nemico aldilà dei confini. Penso che sia finita definitivamente. Lo sento, oltre che lo penso. Finalmente. La guerra con Visceralia, iniziata lo scorso maggio, si conclude. Stiamo raccogliendo i cadaveri nemici, per gettarli in una fossa comune, e stiamo allestendo le pire per onorare i nostri caduti. Non ci sono stati vincitori, solo caduti da ambo i fronti. Forse ne ricaverò la consapevolezza che l’unica guerra che si può vincere contro Visceralia (ma non solo) è una guerra che non viene nemmeno iniziata.

Se dovessi stendere una cronologia sommaria della Guerra, la potrei suddividere in 5 fasi di due mesi l’una.

Abbiamo avuto due mesi di infiltrazione nemica, durante i quali le nostre frontiere orientali, da troppi anni lasciate nell’apatia, avevano cessato di scrutare l’albeggiare proveniente da Mordor. Il nemico è stato prima osservato, poi accolto con ingenuità viscerale. Dovevamo ricordare che di Mordor non ci si deve mai fidare, sopratutto quando porta dei doni.

Abbiamo avuto due mesi di stupefacente successo. Qui il sano istinto Ultrazionale del dubbio avrebbe dovuto far scattare l’allarme. Com’era possibile un tale trionfo? Abbiamo fatto quasi nulla, riscuotendo un trionfo continuo. Eppure, è così che agisce la visceralità mordoriana. Essa stessa, prima ancora della nostra, invade e pervade sulla base dell’ebbrezza. Ebbri di inattesa gloria, siamo stati circondati completamente. Il giorno stesso nel quale credemmo di aver finito la Guerra, l’ultimo barlume ultrazionale ancora indipendente lanciò un appello al dubbio, alla valutazione razionale, caduto nel vuoto.

Abbiamo avuto due mesi di consumazione. Gli alti ed i bassi della convivenza delle due anime sono stati mitigati dalla più potente di tutte le mediazioni. Fiumi di serotonina hanno inondato l’Ovest. Lentamente, Mordor si fortificava sulla nostra debolezza.

Abbiamo avuto due mesi di guerra di trincea. Il dubbio si è risvegliato in una terra che non conosceva più. Il senso di colpa, novità per i nostri territori, e la dittatura del superstimolo hanno incatenato per sessanta giorni la ragione, frustrandola e opprimendola a colpi di vuoto. Alla fine, con un’unica mossa rapida e feroce, abbiamo abbattuto ogni vincolo, scacciando il nemico da Ultrazionalia. Ma per quanto abbattuto nel quartier generale, il corpo di invasione viscerale conservava ancora troppe guarnigioni nelle nostre terre.

Abbiamo avuto due mesi di guerriglia. Subdola, subliminale, nascosta. Gli ultimi residui del Nemico attaccavano sporadicamente, in modo disorganizzato, difficile da prevenire. La forza della ragione non poteva molto contro simili cariche viscerali. Alla fine, indotti dalla saggezza degli amici, abbiamo deciso di sferrare l’ultimo attacco. Per quanto identico a quello che pose fine ai due mesi di trincea, questo è stato un atto di liberazione. Dopo due mesi, le truppe si erano sufficientemente riprese per sferrare l’attacco con efficienza e metodo. Privo di alcuna difesa, di alcuna Stima, l’ultimo castello (di carta) viscerale è crollato davanti a noi, mostrandoci tutta la vacuità, meccanicità ed inconsistenza dell’orizzonte orientale.

Da oggi si torna a camminare con una sola ombra.

Tutta questa guerra si è svolta dentro di me, è stata una lotta tra le diverse anime dell’unico cervello del sottoscritto, eppure tutti coloro che mi sono vicini hanno visto e vissuto gli effetti esteriori del conflitto. Per questo ringrazio Amiche & Amici, per tutte le volte che si sono sorbiti pezze, hanno concesso momenti ed energie, sono stati svegliati ad orari assurdi, sono stati trascurati dall’ebbrezza egoista. A loro va la mia Stima.

venerdì 18 gennaio 2008

Anniversario

Oggi sono 2 anni esatti che non guido un'auto, che non mi addormento alla guida, che non mi schianto contro un rimorchio a lato di una via, che non demolisco un'auto, che non mi fratturo tre costole (una scomposta) ed il bacino, che non mi procuro una dozzina di punti sulla faccia, ed un anno che non mi faccio di anestetico.
O forse, sono due anni che vivo in uno stato di grazia.

Settimana a MSMN-city

Questa settimana non sono stato a Fighettolandia. Grazie alla goliardica ospitalità di uno dei più ancestrali Amici del Demiurgo, il Bastardo Britannico, ho trascorso quattro giorni a MSMN-City, a soli 15 minuti a piedi dal MSNM. Bel risparmio di tempo, fatica e denaro! Il Bastardo ha offerto un’ospitalità degna dei nostri arcaici ritrovi serali degli anni novanta. La casa è stata tanto accogliente quanto incasinata, il vino più diffuso dell’acqua, insomma, si è stati bene!

Al MSNM siamo stati in pieno regime: il Sarmatese mi ha mostrato nuovo materiale da Madagascar, Niger e Marocco che stiamo procedendo col riclassificare e che contiamo di tradurre entro l’anno in un altro paio di lavori. Insomma, se non fosse per la mancanza dei pueblici e delle neo-shurine gondwanogene, sarebbe stata la perfezione demiurgica.